Sono giorni in cui le notizie si rincorrono e si accavallano. Circa 10 giorni fa scattava l’allarme all’ospedale di Chiari (BS) dove non erano più disponibili valvole per far funzionare i macchinari salvavita che permettevano ai pazienti in Rianimazione di ricevere ossigeno. Poiché l’azienda fabbricante era in grado di soddisfare la fornitura nei tempi necessari, veniva contattato un ingegnere della zona, che attraverso la propria stampante 3D, realizzava in due giorni le valvole. Venerdì scorso la DG Grow della Ue pubblicava un documento titolato Conformity assessment procedures for 3D printing and 3D printed products to be used in a medical context for Covid-19. Si tratta di un documento che – seppur non completamente esaustivo e frutto di una fase di emergenza – aggiunge un tassello ad un quadro giuridico che a tutt’oggi appare molto frastagliato.
Come già segnalato da un articolo di Confindustria Dispositivi Medici sul JMDR ed altresì da un nostro precedente contributo, la qualificazione giuridica del dispositivo realizzato con la stampa 3D non è stata definita con chiarezza nel nuovo Reg. Ue 2017/745. I contributi sul tema sono poi svariati tra i quali (senza pretesa di esaustività) a livello internazionale il Definition for Personalized Medical Device dell’Imdrf (sulla qualificazione giuridica) e la webpage del Fda 3Dprinting of medical device mentre a livello nazionale si ricordano le Linee Guida emanate dell’Aiic (sulla sicurezza nella progettazione) nonché l’e-book Stampa 3D privacy e sicurezza (in particolare sui temi della privacy nella stampa 3D).
Vediamo ora cosa quali aspetti chiarisce il nuovo documento appena pubblicato. Dopo avere ben chiarito che la stampante è un prodotto sottoposto alla Direttiva Macchine 2006/42/CE (nonchè se del caso alla compatibilità elettromagnetica 2014/30/CE, alla legislazione Ue sulle sostanze chimiche, Raee 2012/19/Ue, direttiva RoHS II 2011/65/Ue e direttiva (Ue) 2017/2102 e Reach 1907/2006/Ue), il documento analizza vari aspetti interessanti relativi al dispositivi realizzato.
Partendo dall’emergenza Covid, il documento non analizza l’ipotesi in cui il dispositivo realizzato con stampa 3D possa essere su misura, ma solo un prodotto in serie. Sul punto si chiarisce che “a seconda della destinazione d’uso del prodotto stampato in 3D, essi possono essere considerati dispositivi medici o accessori secondo le definizioni stabilite dalla legislazione sui dispositivi medici”.
In realtà poco cambia perché sia nell’uno che nell’altro caso devono soddisfare i Requisiti essenziali di sicurezza della Dir 93/42/CEE (sul punto appare importante precisare che mentre oggi parti e componenti non hanno poi disciplina specifica, saranno invece sottoposti alla disciplina all’art. 23 quando acquisterà efficacia il reg. Ue 2017/745 – si veda su questa rubrica il contributo specifico sul punto). Il documento chiarisce poi che “le valvole in plastica stampata in 3D utilizzate nei ventilatori respiratori possono essere considerate accessori dei dispositivi medici oppure loro parti e componenti”. Il cuore del documento è poi proprio quella che attiene alla produzione tramite stampa 3D di a “parti e componenti”.
Circa l’esistenza di norme armonizzate per parti e componenti si precisa, in generale, che:
Nello specifico poi ci norme armonizzate per parti e componenti e accessori di ventilatori si elencano le seguenti:
In generale poi si precisa che, pur in carenza di espresse previsioni, il materiale utilizzato per la stampa 3D deve essere sicuro e performante e deve essere testato per lo scopo del prodotto stampato 3D e per suo utilizzo finale (ad es. resistenza termica, resistenza meccanica, resistenza chimica, resistenza alla sterilizzazione).
Il vero punto delicato sotto il profilo giuridico è quello connesso alle specifiche tecniche di progettazione
Il documento Ue afferma infatti che:
Tale previsione però, pur assolutamente corretta sotto il profilo strettamente giuridico e di sicurezza del dispositivo, appare molto più complessa nella realtà pratica. È infatti possibile (forse probabile) che il fabbricante non abbia intenzione di comunicare a soggetti – dotati di stampante 3D ma fuori dalla sua rete di fornitori – le specifiche di progettazione: ciò allo scopo (che peraltro può essere del tutto legittimo ai sensi della Direttiva Ue 2016/943) di proteggere il proprio know how industriale. Tale situazione peraltro sembra (dalla stampa) essere stata proprio quella che si è verificata nel caso dell’ospedale di Chiari. Si porrà quindi – in generale, non solo per i ventilatori – una tema di bilanciamento di interessi tra sicurezza/efficacia del Dm, tutela del know how industriale e libera concorrenza sul mercato.